Valeria Girardi

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Arrival, tra Hollywood e scienza: la relatività linguistica

25 August 2022 Article, Editorial
Arrival, tra Hollywood e scienza: la relatività linguistica
Reading time: 5 min

Arrival, quando cinema e linguistica si incontrano. La fantascienza scalza i numeri e le formule matematiche, e porta sul grande schermo una riflessione sulla complessità del linguaggio e del pensiero umano.

Le relazioni che intercorrono tra pensiero e linguaggio rappresentano senza dubbio uno degli argomenti di studio ancora ampiamente analizzati e coltivati da ricercatori di varie discipline. Per anni ci si è interrogati sulla domanda “viene prima il linguaggio o il pensiero?“, e ancora oggi la risposta non è poi così del tutto chiara. La questione deve aver affascinato molto anche Ted Chiang, che in Storia della tua vita (racconto incluso nell’omonima raccolta) ha toccato il tema in maniera piuttosto interessante.

Dal racconto è stato tratto il film Arrival, uscito nel 2016, diretto dal regista Denis Villeneuve e candidato a ben 8 premi Oscar. Sebbene non abbia avuto (ancora) modo di leggere l’opera di Chiang, ho invece visto la pellicola di Villeneuve piuttosto di recente. Tutta la storia gira intorno a un primo incontro tra alieni ed esseri umani, con una traduttrice che opera come perno principale della vicenda. Tocca infatti alla filologa Louise Banks comunicare con i misteriosi alieni, e capire cosa li abbia spinti a giungere sulla Terra. Il film (così come l’opera da cui è tratto) porta dunque in scena lo studio di un linguaggio extreterrestre, rivelando anche come il modo di concepire il tempo da parte degli alieni si ricolleghi alla loro stessa lingua.

Inutile a dirsi, la pellicola mi ha piacevolmente colpita sotto diversi punti di vista. In particolare, ho apprezzato molto “l’omaggio” che viene fatto alle scienze linguistiche da parte di un genere che, notoriamente, sembra quasi un’esclusiva delle scienze naturali. Se già in Sphere (di John Michael Crichton) l’idea di inserire nel team di ricerca un interprete-traduttore è soffocata dalla creazione di un team di soli scienziati (del resto, è la matematica ad essere considerata il “linguaggio universale” per eccellenza), in Arrival la linguistica non viene scalzata da numeri e formule. Al contrario, viene scandagliata e inclusa nel mondo fantascientifico proposto, tanto che – tra rivisitazioni che strizzano l’occhio a Hollywood e assunti teorici realmente oggetto di studio – riesce a portare sul grande schermo alcune delle più interessati ipotesi e teorie letterarie. Tra tutte, quella di Sapir-Whorf, conosciuta anche come relatività linguistica.

La teoria del relativismo linguistico

Tralasciando alcune premesse poco plausibili che il film offre da un punto di vista linguistico (del resto, si tratta pur sempre di fantascienza), la relazione tra linguaggio e mente, tra linguaggio e pensiero, è stata ed è oggetto di studio fin dal secolo scorso. Gran parte della letteratura di base suggerisce che la connessione tra i due processi inizia già nell’infanzia, e diverse sono state le ricerche effettuate in questo senso nel campo dell’antropologia e non solo. Va dunque sottolineato come le “figure chiave” di questo indistricabile binomio siano essenzialmente tre: Vygotsky, Piaget e la coppia Sapir-Whorf.

In “Pensiero e Linguaggio” di Vygotskij possiamo probabilmente trovare il capolavoro della psicologia sovietica. Nella sua opera, ultimo traguardo della sua carriera, lo psicologo sostiene come il pensiero e il linguaggio abbiano due radici genetiche distinte, ma come a partire dai due anni di età il linguaggio oltre ad esprimere le intenzioni comunicative del bambino, venga progressivamente interiorizzato come strumento di regolazione delle azioni e come mezzo di espressione del pensiero, divenendo discorso interiore. Ed è in questo processo di interiorizzazione del linguaggio che il bambino assimila anche le idee fondamentali della propria cultura, poiché riflesse nel linguaggio.

Diverso il punto di vista di Piaget, che invece vede il linguaggio dipendere dal pensiero, come sottosistema all’interno di una più generale capacità cognitiva – ovvero quella simbolica. Assunto che si differenzia ulteriormente da quanto avanzato dall’ipotesi Sapir–Whorf, che (come spiegato in una scena del film) vede la lingua parlata da un individuo in grado di determinare il modo in cui egli percepisce e concettualizza il mondo.

La premessa alla base del relativismo linguistico consiste dunque nel considerare uno stretto legame tra linguaggio e pensiero. Talmente stretto che, nella sua forma più conservativa, tale scuola ritiene come a lingue diverse corrisponda in realtà una visione diversa del mondo, dato che ogni lingua (e dunque cultura) tenderebbe a prestare attenzione ad aspetti del reale diversi.

Dal canto suo, Whorf formulò il “principio della relatività linguistica” per il quale grammatiche differenti favoriscono tipi di osservazioni e valutazioni differenti anche in circostanze ritenute simili. Ciò spiegherebbe il perché le strutture semantiche delle varie lingue non possono essere tra loro completamente sovrapponibili: alla diversità grammaticale, secondo lo statunitense, corrisponde l’adozione di modi di pensare diversi.

È rimasta celebre a questo proposito la “Hopi time controversy“, dibattito accademico che mise in discussione l’esistenza di un “concetto di tempo” nella lingua nativa americana. Nei suoi lavori, Whorf scrisse che la lingua hopi “non contiene parole, forme grammaticali, costruzioni o espressioni che si riferiscano direttamente a quello che chiamiamo ‘tempo’, al passato, al futuro, o al perdurare o al finire. Gli hopi non concettualizzano gli eventi sotto forma di punti, o le lunghezze di tempo (ad esempio i giorni) come cose numerabili e hanno anche poco interesse per le sequenze esatte, le date, i calendari, la cronologia”. La lingua hopi, che non usa le abituali categorie temporali per riferirsi alle azioni, si affida piuttosto alla categoria dell’aspetto verbale, con le azioni classificate sulla base della distinzione oggettivo\soggettivo.

Da qui, lo statunitense ricavò l’ormai ampiamente confutato assunto che “gli hopi non hanno il concetto di tempo”. Secondo Whorf e il suo maestro e collega Sapir, la categorizzazione linguistica non è perciò soltanto frutto del nostro modo di organizzare l’esperienza e il reale, ma ne è contemporaneamente una discriminante: chi “conosce” linguisticamente il mondo in un certo modo, sarà influenzato dalla lingua stessa. Ed è in un certo senso ciò che succede alla filologa Louise Banks nella pellicola.

Da sottolineare, ovviamente, che in generale linguaggio e pensiero sono sì interconnessi, ma non in maniera assolutamente deterministica, come invece avanzato dalla più audace branca del relativismo linguistico. Calza in questo caso a pennello l’esempio proposto da Roberta D’Alessandro, professoressa di Sintassi e Variazione linguistica presso l’Università di Utrecht, che compara la lingua italiana e quella finlandese sulla forma verbale del futuro – che manca a quest’ultima. Secondo la teoria di Sapir–Whorf, ne conseguirebbe che i finlandesi siano incapaci di concepire il concetto di futuro in generale, poiché mancanti di una forma verbale associata.

Sebbene dunque tale ipotesi sia stata da tempo confutata (con le opinioni relativiste cadute in disgrazia già dagli anni ’60), nel caso di Arrival si presta in maniera eccellente nello sviluppo dell’interrelazione tra linguaggio e temporalità. Senza entrare troppo nei dettagli (nel caso non abbiate ancora visto il film), tutte le lingue attualmente conosciute hanno una struttura sequenziale, ovvero si sviluppano unendo dei “pezzettini”, delle frasi una dopo l’altra. Alla stregua della nostra concezione di tempo (che vale per la cultura occidentale ma attenzione, non per tutte!), per la quale passato-presente-futuro si istallano in una linea temporale. A differenza del linguaggio degli alieni, che invece è simultaneo, circolare, così come la loro stessa percezione del tempo, per la quale passato, presente, e futuro si fondono in un unico momento.

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Per approfondire:

Discussion of Hopi Linguistics, B. L. Whorf, 1937
An American Indian Model of the Universe, B. L. Whorf, 1950
A Review of General-Semantics, B. L. Whorf, 1950
Language, Thought, and Reality: Selected Writings of Benjamin Lee Whorf, B. L. Whorf, 1956
Language and thinking: motives of pinker’s criticism of Whorfian linguistic relativism, S. Wacewicz, 2008
The language instinct, S. Pinker, 1994-2007