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Da Tokyo Blues a Norwegian Wood: l’edizione italiana del romanzo di Haruki Murakami

Da Tokyo Blues a Norwegian Wood: l’edizione italiana del romanzo di Haruki Murakami
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“Avevo trentasette anni, ed ero seduto a bordo di un Boeing 747. Il gigantesco velivolo aveva cominciato la discesa attraverso densi starti di nubi piovose, e dopo poco sarebbe atterrato all’aeroporto di Amburgo. La fredda pioggia di novembre tingeva di scuro la terra trasformando tutta la scena, con i meccanici negli impermeabili, le bandiere issate sugli anonimi edifici dell’aeroporto e l’insegna pubblicitaria della Bmw, in un tetro paesaggio di scuola fiamminga. È proprio vero: sono di nuovo in Germania, pensai. Quando l’aereo ebbe completato l’atterraggio, la scritta “Vietato fumare” si spense e dagli altoparlanti sul soffitto cominciò a diffondersi una musica in sottofondo. Era Norvegian Wood dei Beatles in una annacquata versione orchestrale. E come sempre mi bastò riconoscere la melodia per sentirmi turbato. Anzi, questa volta ne fui agitato e sconvolto come non mi era mai accaduto”.

Norwegian Wood. Tokyo Blues, H. Murakami, Einaudi, 2012

Inizia così uno dei libri più famosi – e, a mio avviso, più belli – di Haruki Murakami. Il titolo forse lo conoscerete già. Si tratta di “Norwegian Wood”, “Noruwei no mori” in lingua originale. Soltanto sulla profondità di quest’opera andrebbe fatta una serie di articoli appositi. Tuttavia, ciò su cui voglio soffermarmi principalmente è (nemmeno a dirlo) il lavoro di traduzione che lo ha reso un capolavoro anche in Italia.

In verità, non essendo io specializzata in lingua giapponese, mi soffermerò su quello che è stato il processo di titolazione del romanzo – e non soltanto per ciò che riguarda il nostro paese. Questo poiché chiunque abbia sottomano il libro e abbia modo di osservarne la copertina, avrà modo di notare che sotto a “Norwegian Wood” vi è un secondo titoletto: “Tokyo Blues”. Ed è proprio con questo titoletto che, nel 1993, Feltrinelli pubblicò la prima edizione italiana dell’opera.

Ma perché Tokyo Blues?

La prima pubblicazione italiana del romanzo, ad opera di Feltrinelli, venne battezzata “Tokyo Blues”. Fu con la nuova edizione pubblicata da Einaudi (e sempre firmata dal traduttore Giorgio Amitrano) che, come (più o meno) nel resto del mondo il titolo originale di “Norwegian Wood” apparve in copertina. Come è possibile intuire dall’incipit dell’opera, l’autore scelse tale titolo in riferimento alla famosa canzone dei Beatles, che viene tra l’altro nominata diverse volte all’interno del racconto.

Alla luce di ciò, che senso avrebbe avuto dunque tradurre “Noruwei no mori” con “Tokyo Blues”? Pare, almeno secondo quanto è emerso da alcune mie ricerche, che sia stato un modo di “lanciare” maggiormente l’autore giapponese quando in Italia ancora non era particolarmente conosciuto. In questo senso, allora, Feltrinelli probabilmente aveva cercato di associare il romanzo alla già nota opera di Ryu Murakami, uno dei principali autori giapponesi e boccata d’aria fresca nel panorama letterario occidentale – il quale, però, con Haruki non condivide nessun legame di parentela.

Fu con Ryu, infatti, che una nuova immagine del Giappone letterario venne rilanciata in Occidente, grazie anche a quella che è stata poi definita come “new wave di giovani autori”, intenti a superare il “solco della tradizione” letteraria nipponica. Il primo scossone venne provocato da “Blu quasi trasparente” (“Kagirinaku tōmei ni chikai burū“), scritto da Ryu e pubblicato nel 1976. Più di dieci anni dopo il successo di quel romanzo, Haruki pubblica invece – in Giappone – “Norwegian Wood”, che in Italia giungerà nel 1993 con il titolo un po’ “strambo” di Tokyo Blues.

Da notare che come per Tokyo Blues, anche per Ryu venne applicato in realtà il “marchio” di riconoscimento “made in Japan”: tanto che nel 2004, questa volta Mondadori, ha proposto ai lettori italiani “Tokyo Decadence”, raccolta di racconti erotici che invece in originale – così come anche in inglese – è stata battezzata dall’autore “Topaz”. Replicando il tutto, nel 2006, con “Tokyo Soup”, in originale “In za miso sūpu“, e “In the Miso Soup” in inglese.

Interessante notare, però, che il destino italiano di Norwegian Wood non è stato dissimile da quello spettato alle traduzioni spagnola, francese e tedesca. Ad offrirci un interessante spunto di riflessione in tal senso è Pau Pitarch Fernández, professore associato di Letteratura Giapponese Moderna alla Waseda University (Tokyo). Come spiegato nel suo articolo “The Translation of Japanese Literature in Spain”, presente nel WASEDA RILAS JOURNAL NO. 6 (2018), l’edizione spagnola (pubblicata nel 2005) del romanzo di Haruki Murakami condivide con quella italiana il primo titolo scelto da Feltrinelli, ovvero “Tokyo Blues”.

Anche per l’editore spagnolo, però, il tradurre “Noruwei no mori” portava davanti lo stesso bivio di scelte. Il percorso più semplice sarebbe stato quello di lasciare il titolo del libro esattamente così com’era, dato che riprende, come già detto, il titolo della canzone dei Beatles. Altrimenti, si sarebbe potuto optare per l’altro percorso, ovvero tradurre “Norwegian Wood” letteralmente, nella lingua di arrivo. Nel caso italiano “Foresta Norvegese” (o anche “Foreste”, “Bosco”, o “Boschi Norvegesi”); nel caso spagnolo, invece, “Bosques de Noruega” (o anche “Madera noruega”).

Bisogna tenere a mente, comunque, che in generale non è raro cambiare il titolo di una versione tradotta di un romanzo. Se “Tokyo Blues” può suonare “strano” ai lettori, basti pensare a quanto è stato fatto per la traduzione tedesca curata da Ursula Gräfe, e intitolata “Naokos Lächeln” (lett. Il sorriso di Naoko, pubblicata da Dumont nel 2001). O addirittura, quanto al titolo dell’edizione francese, tradotta da Rose Marie Makino-Fayolle con “La ballade de l’impossible” (lett. La ballata dell’impossibile, edita Belfonde pubblicata nel 2007). Operare scelte di questo tipo è utile quando si ha l’impressione (e questo anche da un punto di vista commerciale) che il titolo originale possa essere difficile da capire per il lettori meno esperti. Per tale ragione si può scegliere di modificarlo, trovandone uno più facilmente comprensibile. Leggendo il titolo della traduzione, in questo caso, il lettore può avere infatti meglio idea di chi può essere il personaggio principale, o magari può in qualche modo immaginare che tipo di storia possa aspettarsi scorrendo tra le pagine.

Ciò non vale, però, per “Tokyo Blues”. Il titolo non fornisce indizi su trama, personaggi, o tipologia di romanzo. E infatti, tradurre “Noruwei no mori” in “Tokyo Blues” non sarebbe stato fatto per rendere il titolo più facile da capire – quanto piuttosto per offrire al lettore l’immagine immediata del Giappone. Già soltanto la parola “Tokyo”, infatti, permette di capire che ciò che si ha in mano è (al di là della copertina, che comunque mostra degli ideogrammi) un romanzo giapponese. Con “Tokyo Blues” l’editore ha probabilmente voluto sottolineare che l’opera era prima di tutto un romanzo “giapponese” (sulla scia del successo che l’opera “Blu quasi trasparente” aveva suscitato), più che un romanzo di Haruki Murakami. E soltanto dopo l’autore è diventato un “marchio” familiare per i lettori, che sono ora in grado di ricondurlo in autonomia al “made in Japan” sdoganato da Ryu, “Noruwei no mori” è stato poi cambiato in “Norwegian Wood”. Dato che sono ancora molte le persone che continuano ad associare “Noruwei no mori” al suo primo titolo italiano, però, Einaudi (che ad oggi pubblica tutti i libri dello scrittore in Italia) ha deciso comunque di lasciare l’originale titoletto in copertina, rendendolo sottotitolo.

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